Dopo la scivolata di Christine Lagarde, l’Europa ha iniziato a rialzarsi. Le prime iniziative non sono ancora all’altezza della situazione, ma, rispetto alla chiusura burocratica dei giorni scorsi, si sono fatti enormi passi in avanti, che lasciano sperare in un ruolo sempre più attivo delle istituzioni comunitarie. La BCE ha ristabilito uno scudo europeo, con il Pandemic emergency purchase programme, aggiungendo 750 miliardi di euro – ai 120 miliardi già previsti e al quantitative easing – per l’acquisto di titoli pubblici e privati “in modo flessibile” nel tempo e tra i Paesi, almeno fino alla fine dell’anno. La Commissione europea ha proposto la sospensione del Patto di Stabilità con l’attivazione della clausola generale di salvaguardia. Inoltre, ha varato in soli tre giorni il quadro temporaneo per una piena flessibilità sugli aiuti di Stato, articolato in cinque punti: sovvenzioni dirette, agevolazioni fiscali selettive e acconti, con sostegni alle imprese fino a 800.000 euro; garanzie di Stato per i prestiti bancari alle imprese; prestiti pubblici agevolati alle imprese; salvaguardie per le banche che convogliano gli aiuti di Stato all’economia reale; assicurazione del credito all’esportazione a breve termine.
A queste misure solerti dovranno seguirne altre, come già previsto se quelle adottate non bastassero, recuperando una visione ampia dei processi in atto. Vale la consapevolezza che in questa situazione le politiche monetarie, come hanno ricordato Ben Bernanke e Janet Yellen, vanno accompagnate da un’accorta politica fiscale. La dimensione di questa crisi, paragonabile solo all’influenza spagnola del 1918, scaturirà dalla durata, dall’estensione e dai danni prodotti dalla pandemia. La priorità assoluta, anche per l’economia, è quella sanitaria, a cui vanno rivolti tutti gli sforzi necessari. L’impatto economico dipende, infatti, dalla risposta al tema della salute: più intenso ed efficace l’intervento, più limitato l’effetto sull’economia e più ridotto il periodo di caduta del Pil. Questo, secondo Patrick Artus, sta già sta accadendo in Cina, con un calo dal 15 al 20% del prodotto concentrato nel primo trimestre dell’anno e un recupero che potrebbe essere di ben oltre la metà della produzione perduta.
Ci troviamo, dunque, di fronte a una singolare condizione. Per l’economia, come per il corpo umano, ogni giorno che passa può essere di giovamento o di aggravamento. Il tempo rappresenta il principale fattore critico. Per questa ragione, alle terapie d’urgenza occorre collegare misure di fondo, in grado di affrontare la portata eccezionale di questa crisi esogena. Non si tratta solo di una metafora, che fa finalmente dell’economia una scienza sociale e umana, ma di un’esigenza concreta. Alla spinta che i primi provvedimenti cercano di dare alla domanda, deve seguire un sostegno inedito e massiccio all’offerta. Nel periodo della ricostruzione, al tanto invocato Piano Marshall subentrò un intervento di natura strutturale. Al cospetto di una pandemia non valgono più i “due tempi”, bisogna cominciare a costruire subito le basi per la ripresa, occorrono “grano e carbone”, “macchine e maccheroni”. Perciò, è necessario un piano europeo di contrasto alla crisi. La richiesta dei governi italiano e francese di intraprendere la strada, già indicata nel 1994 da Jacques Delors, degli eurobonds, per contrastare il coronavirus e il suo impatto economico, sembra fare breccia nel discorso di Angela Merkel sulla più grande sfida dalla guerra a oggi. A Bruxelles si affaccia la possibilità di un’interpretazione aggiornata del Meccanismo europeo di stabilità, senza condizioni gravose per il finanziamento della sanità e dei settori colpiti, rispetto alla simmetria del fenomeno epidemico. Sono primi varchi da percorrere, per impegnarsi, come ha sostenuto Roberto Gualtieri, in una politica di bilancio comune e coordinata, volta ad affrontare la crisi con strumenti adeguati e a porre le fondamenta di un nuovo modello di crescita. Si tratta di adottare una strategia creativa e rigorosa, non per una mera legge del contrappasso, che aumenti la spesa pubblica nell’immediato, facendosi carico delle necessità della sanità e dei consumi, del sostegno ai redditi e alle imprese, del potenziamento delle infrastrutture e della ricerca, ma che metta in moto, su basi del tutto originali e al momento giusto, investimenti innovativi e incrementi di produttività, in una prospettiva di più lunga durata. Solo così, si eviterà lo spettro del default, si opererà contestualmente sul piano della stabilità e dello sviluppo e l’Europa potrà riprendere a svolgere un ruolo di riferimento a livello globale.
Amedeo Lepore