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La questione settentrionale

20 Agosto 2020
by giuseppe
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In questi giorni di agosto torna una folata di clamore sulla finora sopita “questione settentrionale”. Tra gli altri, Massimo Giannini ha preso spunto dal vantaggio fiscale del 30% proposto dal Governo per abbassare il costo del lavoro nel Sud, sostenendo che tale scelta corrisponda alla necessità di risarcire i territori meridionali di un lockdown non dovuto. L’argomento, di per sé inesistente, è stato ripreso da vari contributi e fa emergere un quadro preoccupante. Anche perché non si tratta solo di interventi da parte di sovranisti. In buona parte, gli autori sono autorevoli rappresentanti della politica e della cultura progressista. Se si volesse restare alle cifre, non curvando le previsioni della Svimez alle tesi enunciate, si potrebbe verificare che i colpi del Covid-19 non hanno risparmiato il Mezzogiorno. Pur coinvolgendo intensamente le regioni centro-settentrionali, dove si stima che  il crollo del Pil sarà più consistente (-9,6%) nel 2020, a fronte di una caduta comunque grave nelle aree meridionali (-8,2%), gli effetti della pandemia determineranno una discesa dell’occupazione molto maggiore al Sud (-6,1% contro -3,5%), con una perdita paragonabile agli anni di crisi. Inoltre, sempre per stare ai numeri, il recupero meridionale nel 2021 sarà molto più lento che al Centro-Nord sia in termini di Pil (+2,3% rispetto a +5,4%) che di posti di lavoro (+1,3% contro +2,5%). Infine, l’impatto delle tre manovre approvate è destinato, nel 2020-2021, per circa il 72% al Centro-Nord e per quasi il 28% al Mezzogiorno. Sgomberato il campo da queste valutazioni quantitative, è il caso di esaminare le motivazioni della riproposizione di una “questione settentrionale”. Il ragionamento dei “nordisti” si snoda intorno a una doppia interpretazione. Da un lato, il danno subito dalle regioni settentrionali e la supposta beffa di una riparazione riservata in prevalenza al Sud, che, per il rivendicazionismo degli intenti, sembrano parafrasare un titolo di Emilio Sereni del 1948: il Nord all’opposizione. Questa impostazione, nonostante i tanti meriti di Sereni, era già sbagliata per il Mezzogiorno, figurarsi ora per quello che resta l’avamposto industriale del Paese. Dall’altro, si riconosce il limite di esperienze di governo ritenute all’avanguardia, mettendo in evidenza come la svolta nazionale della Lega avrebbe indebolito la sua capacità amministrativa e di rappresentanza delle istanze del Nord. Siamo molto lontani dalle origini della “questione settentrionale” negli anni Ottanta, quando gli sprechi di risorse pubbliche nel Sud e l’assistenzialismo meridionale avevano fatto insorgere i ceti produttivi di un Nord desideroso di affermarsi, indicando il modello settentrionale come paradigmatico per tutto il Paese, pena il distacco da esso minacciato dal movimento leghista. Oggi ci troviamo di fronte a un Nord dolente in un’Italia nuovamente in crisi. Il rischio è la rincorsa all’accaparramento delle risorse, già vista nella parte peggiore delle richieste di “regionalismo differenziato”, al di fuori di ogni logica di crescita e di convenienza nazionale. Si tratta della fine del progetto salviniano della Lega o di un tentativo estremo di giocare due parti (una al Nord e una al Sud) della stessa commedia, che secondo Cacciari emulerebbe l’esempio tedesco di Cdu-Csu? E i “nordisti” del centrosinistra stanno cercando di sottrarre in questo modo terreno alla Lega, non capendo che rispetto a un’imitazione è sempre più sicuro l’originale? Gli interrogativi potrebbero ampliarsi, ma resta da considerare quale ruolo intenda svolgere il Mezzogiorno in questo contesto. In una fase difficile si deve riscoprire l’orgoglio dell’ingegno meridionale e rintuzzare le posizioni egoistiche, ma senza l’errore del pregiudizio. E bisogna vincere una battaglia anche contro i “sudisti”. Luciano Cafagna, quando ammoniva sull’esigenza di non fare a pezzi l’unità del Paese, indicava al Sud la strada maestra della responsabilità nazionale per superare il dualismo. Del resto, le attuali catene del valore sono fortemente integrate tra le due parti dell’Italia. La sfida globale, come ricorda Jeffrey Sachs, sopravviverà al virus e si ripresenterà in forme inedite. E pure l’impiego dei fondi per la ripresa richiede il dispiegamento di una prospettiva unitaria, non nuove illusioni separatiste. Grazie a un indirizzo di questo tipo, il divario diminuì nell’epoca di maggiore sviluppo e oggi il Paese è stato promosso a livello europeo. Isaia Sales ha ragione a richiamare il valore essenziale della riunificazione tedesca. In uno studio del 2009 di Banca d’Italia, Juan Carlos Martinez Oliva ha approfondito questo aspetto, mostrando come la Cassa per il Mezzogiorno, pur utilizzando minori risorse, non abbia sfigurato con la vicenda più recente della Germania. La reciprocità non è una concessione, né un sintomo di debolezza, ma la piena comprensione dell’esistenza di concreti interessi comuni tra il Nord e il Sud. Un’iniziativa conseguente può partire proprio dal Mezzogiorno e convincere tutto il Paese della ineludibile necessità di procedere insieme.

di Amedeo Lepore

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