La questione dell’Autonomia è troppo seria per essere ridotta a un mero gioco delle parti o a uno scontro tra fazioni.
Si tratta di un tema di fondo, che riguarda l’organizzazione dello Stato, i rapporti delle istituzioni con i cittadini, i diritti di uguaglianza e di democrazia, alcune delle parti più sensibili della Costituzione repubblicana, ma anche principi di importanza fondamentale, come il funzionamento e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni. Perciò è impensabile tradurre l’esigenza di nuove forme di semplificazione e produttività delle istituzioni in una delega meccanica per l’attribuzione di poteri o funzioni, in base all’art. 116 terzo comma, o in una bulimia regionale per la conquista di competenze e risorse, senza guardare agli interessi reali del Paese.
Innanzitutto, se gli obiettivi sono quelli di efficienza ed efficacia, di ruolo e capacità delle strutture pubbliche, i problemi riguardano sia il livello nazionale che quello territoriale e, a quasi quarant’anni dalla loro costituzione, andrebbe avviata una riflessione anche sulle regioni, per evitare quei pericoli di «Un Paese troppo lungo», frammentato e disunito, che Giorgio Ruffolo paventava solo pochi anni fa. Poi, se davvero si vuole innovare senza creare ulteriori squilibri territoriali e differenze sociali – già pesa enormemente sul futuro dell’Italia intera il divario meridionale – è necessario muoversi evitando forzature e con l’impiego massimo del buon senso, misura essenziale anche di politica e strategia in tempi turbolenti.
Parte dell’articolo de: il mattino
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