NOTE DI REGIA
Da sud a sud, da sole a sole nasce dalla confluenza di due storie: una narrata dal drammaturgo francese Jean Luc Lagarce (scomparso nel 1995) in una sua pièce e l’altra, tratta dalla cronaca nera siciliana, l’uccisione di Lia Pipitone, giovane madre palermitana, incensurata, figlia di mafioso.
Dalla pièce francese abbiamo tratto la struttura del testo: il ritmo, le ripetizioni, i silenzi. Il fatto di cronaca, o meglio la vicenda familiare che prelude alla tragedia ha dato il colore, nel rapporto tra i personaggi ed il suono nell’usare le fluenze sonore del dialetto siculo-palermitano, più che i termini tipici.
Lagarce, ha una scrittura apparentemente piana, senza sussulti, che nel suo tipico ritmo, scandito dalle ripetizioni, sembra avvolgersi su se stessa. Una composizione di scrittura sinusoide che, nella sua apparente monotonia, nasconde un flusso di emozioni che dagli echi delle ripetizioni acquistano volume e dalla risonanza delle parole un simbolico crescendo che restituisce l’imponenza delle immagini e delle emozioni.
A sconvolgere tale ritmo la vicenda di Lia che improvvisa volge al tragico, come un inatteso temporale estivo.
Lia Pipitone, fu vittima innocente, nel settembre del 1983, di una rapina maldestramente condotta in una sanitaria di Palermo. Un fatto tragico per la non prevedibilità, la velocità del manifestarsi l’efferata violenza del suo realizzarsi. Una dinamica strana, anche in una città a volte molto violenta come Palermo, abituata, suo malgrado, a teorie di fatti di sangue, a guerre tra potenti fazioni mafiose che nel controllo del territorio hanno trasformato la città in un vero teatro di guerra. Ma Lia era solo una madre e una moglie e l’unica giustificazione trovata fu il tragico caso. Ma la verità era diversa. Il padre di Lia, imprenditore edile di successo a Palermo, era negli ambienti giudiziari riconosciuto molto vicino ad alcune pericolose “famiglie” mafiose della città, anche se mai con ruoli organici all’organizzazione, una sorta di esperto consigliere tenuto in grande considerazione. Lia con la sua formazione culturale da anni settanta probabilmente tenne una condotta, si, irreprensibile dal punto di vista morale ma troppo “moderna” ed anticonvenzionale perché un padre di rispetto non ne temesse il contraccolpo, in una perdita di credibilità nel suo ambiente di riferimento e di potere. Da questa semplice equazione, probabilmente, la terribile verità, capace di ridare ordine a quel fatto di cronaca illeggibile ai più, mostrando la spietatezza di un ambiente, capace di sacrificare una vita per una ragion di “stato mafioso” di creontina memoria. Lia, moderna Antigone, voleva seppellire, senza rendere onore, la sudditanza morale ad un mondo in cui non si riconosceva, ripudiando la mera consanguineità come motivo supremo per tradire le ragioni della propria esistenza.
Senza voler cedere alcun primato al fatto di cronaca, seppur tragico, “da sud a sud, da sole a sole” coniuga le due vicende accostando l’equilibrio sospeso della poetica narrazione del dolore lagarciano, al lancinante e soffocato urlo di uno strappo affettivo generato da un terribile assassinio consumato sulla logica prevalente della morte come respiro di vita.
L’osmosi narrativa si basa specificatamente sui punti di contatto e di distanza tra le due vicende: nel tragico dissidio padre-figlia, e nel lento e doloroso distacco dalla memoria familiare di Lia, che più volte si era allontanata da casa senza il permesso o la condivisione dei genitori fino ad allontanarsi definitivamente a causa della morte improvvisa e tragica.
Il ritorno di cui si parla ripetutamente nella piéce, è più un’ingombrante presenza nella coscienza dei familiari di Lia, che nell’impossibile attesa di un vero ritorno, preferiscono credere ad una caduta di Lia (appena tornata dal viaggio) in un sonno profondo. Il “sonno” di Lia, più che ad un ristoratore riposo, si accosta alla stasi definitiva da talamo mortale. Il presunto rientro in famiglia volge, infatti, verso un addio, seppur contrastato dall’attesa dei familiari che si rifiutano di accettare la verità.
L’attesa, elemento caratteristico e portante della piece francese, in questa veglia al lungo sonno, ci ha richiamato l’attesa della famiglia di Lia, con l’esclusione del padre, che non può accettare la verità/soluzione dei fatti che, in maniera apparentemente inspiegabile, hanno costretto Lia ad una morte prematura.
Il padre recita il ruolo dell’ispiratore della tragedia: nel giudicare Lia nei suoi comportamenti e scelte di vita, nel condizionare la visione ed il giudizio dei familiari (madre, sorelle e marito). Il padre non interagisce con gli altri personaggi, se non nel ricordo della lite con Lia. Da egli promana la pesantezza del suo alito tragico, determinando anche le conseguenze della morte di Lia, ovvero l’attesa di un’impossibile chiave di volta della realtà. Lia è tornata, può solo dormire, ma la famiglia veglia, inutilmente e testardamente, in attesa che si svegli e spieghi ciò che ormai non potrà più esser detto.
Franco Bruno