Il premio consegnato a Olivetro Citra guarda a un meridione che chiede politiche, non assistenzialismo. Lontano da derive neoborboniche autoassolutorie
Nel corso del “Sele d’Oro Mezzogiorno” di quest’anno, a Oliveto Citra, si è anche discusso di storia ed economia, affrontando alcuni nodi fondamentali dello stato dell’arte della “questione meridionale” e facendo della stessa premiazione finale un motivo per riprendere il tracciato che unisce il passato migliore del Sud alle sue prospettive di ripresa e di crescita duratura, alla necessità di coltivare la fiducia nelle proprie energie e di costruire un solido ponte verso l’avvenire.
L’intervento straordinario, attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, non rappresentò solo l’occasione per l’industrializzazione dei territori meridionali, ma realizzò anche, nel suo primo quarto di secolo, una complementarietà tra l’apparato produttivo del Nord e quello del Sud e l’avvio di un mercato degno di questo nome, come avrebbe voluto Saraceno, contribuendo decisamente alla convergenza tra le due parti dell’Italia e alla sua golden age. Solo con l’avvento della crisi di stagflazione degli anni Settanta e con l’inversione di tendenza delle strategie per il Mezzogiorno, sempre più prigioniere dello sconfinamento delle forze politiche nella gestione delle risorse ai fini di un consenso deteriore, si è interrotto il circolo virtuoso ed è iniziata la fase degli enormi sprechi dei finanziamenti nazionali ed europei e dell’assistenzialismo meridionale, causa fondamentale dell’origine di una “questione settentrionale”.
Per questi motivi il tema attuale non può essere quello della chiusura pura e semplice delle disponibilità economiche per il Sud, dato che nessun automatismo o volontarismo puro e semplice può rinverdire l’assetto delle Regioni meridionali, creando meccanismi di crescita e permettendo l’accumulazione di capitale sociale, mentre si favorisce una progressiva desertificazione produttiva.
In realtà, il Mezzogiorno, come il resto dell’Italia, ha bisogno non tanto della “politica”, quanto di nuove politiche. Il problema principale, come dimostra anche il volume Morire di aiuti di Antonio Accetturo e Guido de Blasio, tra i premiati del “Sele d’Oro Mezzogiorno”, riguarda non il taglio di tutti gli interventi economici e delle risorse pubbliche, ma la necessità di cambiare rotta rispetto al passato, riuscendo a impiegare bene i finanziamenti che è possibile indirizzare al Sud e puntando su strategie industriali innovative (come quelle delineate già dal credito d’imposta per gli investimenti e i contratti di sviluppo) o che è possibile rafforzare (attraverso una riduzione del cuneo fiscale, degli sgravi fiscali e contributivi). Il segnale deve partire dal Sud, attraverso una piena assunzione di responsabilità, che avvii una nuova fase di potenziamento delle intelligenze e delle capacità autonome di quest’area, di modernizzazione ed efficienza delle amministrazioni meridionali.
Il governo, però, si deve misurare con questa prospettiva, sapendo che, come ha affermato in questi giorni il direttore generale della Banca d’Italia, il ritardo del Sud è “inaccettabile e ingiustificabile” e danneggia il Paese intero. Perciò, se il Mezzogiorno costituisce il dilemma irrisolto dell’economia italiana – visto che “il Pil pro-capite è la metà di quello del Centro-Nord; la disoccupazione è prossima al 20%, il doppio di quella del resto del Paese. Le disuguaglianze e l’incidenza della povertà sono ampie. La dotazione infrastrutturale e la qualità dei servizi pubblici essenziali sono insoddisfacenti” – occorre una strategia credibile e adeguata. Secondo uno studio dell’Istituto centrale “un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1 per cento del suo Pil per un decennio, ossia 4 miliardi annui, avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana. Al Sud il moltiplicatore degli investimenti pubblici potrebbe raggiungere un valore di circa 2 nel medio-lungo termine, beneficiando della complementarietà tra capitale pubblico e privato e dei guadagni di produttività connessi con la maggiore dotazione di infrastrutture”. Ne otterrebbe vantaggio anche l’economia centro-settentrionale, “per via della maggiore domanda nel Mezzogiorno e dell’integrazione commerciale e produttiva tra le due aree”. Queste parole di Fabio Panetta rappresentano bene il senso di quello che deve essere il meridionalismo attuale. Gli altri premiati del “Sele d’Oro Mezzogiorno” hanno attribuito il carattere simbolico di tale interpretazione avanzata del Sud a questa edizione della manifestazione, ideata trentacinque anni fa da Michele Tito.
I tre premi speciali della Giuria sono stati assegnati, come da consuetudine, a esponenti di primo piano delle istituzioni, della società e dell’economia. A Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti, è stato conferito questo riconoscimento per porre in evidenza la sua opera fattiva per l’Italia, per il Sud e per il Mediterraneo, quasi a riconnettere le fila di una storia che è cominciata nell’immediato dopoguerra con la Banca Mondiale e che può riprendere oggi. A Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, è stato consegnato il premio, con la convinzione di attualizzare la tradizione di grandi personalità del Nord che si sono dedicate alla soluzione della “questione meridionale”, ma anche per sottolineare l’importanza di un’iniziativa coraggiosa, che, sfatando ogni deteriore concezione separatista, si batte da Milano, nucleo pulsante dell’Italia settentrionale, per far comprendere l’essenzialità del Sud come baricentro del Mediterraneo e dello sviluppo nazionale. A Stefania Brancaccio, imprenditrice meridionale aperta alla cultura e alla società cosmopolite, è andato il riconoscimento per la testimonianza quotidiana di un Mezzogiorno moderno e attivo.
Il premio alla memoria di Gilberto Marselli, grande sociologo del Sud, ha significato il compenso ideale per una vita spesa, oltre che al fianco dei più umili, nella promozione del Centro di Specializzazione e Ricerche Economico-Agrarie per il Mezzogiorno di Portici, concepito con Manlio Rossi Doria, e nell’attività di alta formazione dei giovani. Il premio a un volume, come quello di Carmine Pinto, dedicato a La guerra per il Mezzogiorno, è stato assegnato per lo sforzo di un’intensa ricerca d’archivio, che è servita a sfatare, con la cruda realtà dei fatti, i miti neoborbonici e a ricostruire un pezzo di storia meridionale. A Carmine Nardone è andato il riconoscimento per le buone pratiche inerenti alla bellezza dei paesaggi rurali. Il giovane Salvatore Sparaco Diglio ha ricevuto il premio per un lavoro inedito sull’innovazione dell’industria 4.0 e della blockchain nel Mezzogiorno, che permetterà la pubblicazione del relativo libro con la casa editrice Rubbettino di Soveria Mannelli, nel Sud profondo. A Francesco Durante, fine giornalista ed erudito, esperto di una letteratura globale, è andato un riconoscimento alla memoria.
Infine, i premi “Michele Tito” per il giornalismo hanno voluto sottolineare due diversi modi di descrivere la realtà meridionale: quello di Simona Brandolini, attraverso una lettura dell’economia e della politica, utilizzando la carta stampata con uno stile sferzante, e quello di Domenico Iannacone, attraverso la comprensione umana e il racconto lirico dei drammi, della marginalità, delle speranze e delle eccellenze di questa terra, con un mezzo televisivo che può farsi poesia.
Il “Sele d’Oro Mezzogiorno”, dunque, è stato ed è un modo per far vivere questo Mezzogiorno delle potenzialità, delle capacità, dei cambiamenti concreti e del futuro, che deve sostituirsi a quello del paternalismo, dell’inefficienza e degli sperperi, che ha fatto ormai il suo tempo.
di Amedeo Lepore