In questo articolo riportiamo l’intervento di Mino Pignata – sindaco di Oliveto Citra – su il Mattino di giovedì 5 settembre.
Sono sindaco di un paese che la parola ‘emigrazione’ la porta cucita sulla pelle. Era il 15 agosto del 1883 quando il nostro concittadino Corrado Fiore, un contadino 25enne, sbarcò nel porto di New York dopo aver attraversato l’Atlantico a bordo del piroscafo Burgundia: primo olivetano emigrante di cui conserviamo traccia documentale. Con lui altre quattro persone della nostra Comunità, tra cui una bimba di soli due anni, che i libri di bordo registrarono come ‘Anta. Barra’.
Da quel momento, nell’arco di soli venti anni, Oliveto Citra passò da circa 3.700 abitanti a poco più di 3.400. Un dramma assoluto in termini di rottura delle dinamiche sociali che tengono insieme una piccola Comunità, che acquisiva un barlume di senso unicamente nella volontà di perseguire un futuro migliore. Anch’io provengo da una famiglia che conosce bene la sofferenza di vedere i propri cari emigrare. Conservo intatto il dolore e lo smarrimento delle separazioni; le attese indicibili; i ritorni, sempre legati a faticosi meccanismi di riadattamento. A chiunque sostenga il contrario, mi sento di dire che lasciare una casa, una Comunità, o veder partire una persona cara non è mai semplice. Anche quando chi parte coltiva ambizioni e speranze da realizzare.
Ogni estate, con il consueto rigore analitico, la SVIMEZ ci ricorda che il nostro Mezzogiorno è ormai tornato a essere terra d’emigrazione. Chi ha già avuto occasione di scorrerli, sa che i numeri del ‘Rapporto 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno’ appaiono impietosi: nell’arco di un quindicennio, oltre due milioni di meridionali sono andati via. Solo nel 2017 le partenze sono state oltre 130 mila, metà dei quali giovani al di sotto dei 35 anni. A conti fatti, il Sud perde ogni settimana circa 2.500 persone, che è poi la dimensione demografica di tanti piccoli paesi del nostro entroterra. Un’immagine in grado di restituire plasticamente il fenomeno potrebbe forse essere quella di un’enorme carta geografica, dalla quale una mano folle e crudele cancella via un paese alla volta: settimana dopo settimana, il quadro demografico si muta e il vuoto avanza. Portando con sé frutti avvelenati, quali la difficoltà nel ricambio generazionale e di idee, che rendono ancor più fragili Comunità ed economie locali.
Da anni, dal mio personale osservatorio di sindaco e appassionato di questioni meridionali, sostengo che la fuga dal Mezzogiorno non rappresenti semplicemente un problema, ma piuttosto un’autentica emergenza. Per il dizionario, problema è infatti un quesito che attende una soluzione, laddove il termine emergenza richiama invece a una criticità che richiede risposte immediate. La mia esperienza di medico m’insegna che ci sono situazioni nelle quali la diagnosi deve essere rapida, ma ancor più rapido l’intervento. Non tenere nel giusto conto la variabile tempo può determinare costi altissimi. Quella dell’emigrazione dal Mezzogiorno è una questione va che sempre più assumendo i caratteri di una piaga; andrebbe fronteggiata ponendola al centro del dibattito politico, come grande priorità nazionale verso la quale indirizzare politiche, risorse, energie, mobilitazione di coscienze. Nella consapevolezza che, dinanzi alla crudezza dei numeri, anche il sottrarre un solo cittadino meridionale alle statistiche in uscita rappresenterebbe un risultato significativo.
C’è da chiedersi se vi sia consapevolezza di quanto questa sfida sia determinante per il futuro del Mezzogiorno e del Paese. Certo, vi sono intelligenze, sensibilità ed esperienze – viene qui naturale pensare alla SVIMEZ – che su questi temi sono impegnati da tempo e senza riserva. Eppure, una lettura rapida alla bozza del programma di lavoro per il nuovo governo, pubblicato nei giorni scorsi sulla piattaforma Rousseau, pone la questione ‘Sud’ alla posizione 16 della lista, con proposte ancora un po’ troppo vaghe, che dovranno essere necessariamente specificate nei prossimi giorni. L’auspicio è che lo si faccia senza indulgere più di tanto al compromesso, facendosi piuttosto guidare dalla creatività e dell’audacia. Da questo punto di vista ripongo grande fiducia in Giuseppe Provenzano, il giovane e brillante economista, vicedirettore della SVIMEZ, che proprio in questo ore il presidente Conte ha indicato come nuovo ministro per il Sud.
Di fuga dal Mezzogiorno, ma anche del desiderio di futuro che rimane ben vivo in tanti meridionali, discuteremo a partire da (GIOVEDì 5 SETTEMBRE) a Oliveto Citra, nel corso della trentacinquesima edizione del Premio Sele d’Oro, che anche quest’anno ha proprio nella SVIMEZ uno dei suoi partner principali. Dieci giorni nel corso dei quali abbiamo scelto di ragionare sulle sfide che attendono il Sud nel futuro prossimo, a cominciare proprio dalla piaga dell’emigrazione, e del coraggio che serve per affrontarle. A guidare la nostra riflessione saranno, come sempre, uomini e donne delle Istituzioni, protagonisti del dibattito politico nazionale, studiosi, artisti, imprenditori coraggiosi e innovativi. Toccherà a loro il compito di aiutare i tanti giovani, quei giovani che sono da sempre la spina dorsale della nostra esperienza, a conoscere e comprendere meglio quel Mezzogiorno cui sono parte. Quanto a me, proprio perché sindaco di una piccola Comunità, non è concesso di smettere di credere che tanti fra questi ragazzi potranno trovare il loro futuro nella loro terra. Perché, diversamente da quanto accaduto dal 1883 in poi a Corrado Fiore e tanti altri meridionali, non siano costretti a lasciare il Sud per cercare lavoro, né vivere il dolore e l’amarezza di giornate in cui vediamo le persone care lasciarci.